menu

Il tassista di Ponza

00
giugno 10, 2015 | Posted By: | Uncategorized |

Una serata normale a casa di amici. Cenando e bevendo del vino rosato. Ne vai ghiotto per il rosato, ed i tuoi amici lo sanno. Tutto è nella norma della stabilità infrasettimanale. Normale sono i modi, normali, le sigarette che fumi dopo cena. Normali gli sguardi. Ti conoscono, tu conosci loro: è la tua famiglia. Fuori dal terrazzo, una canna fumaria getta fumo nero proveniente dalla pizzeria cinque piani più giù. Un vicino dalla pancia dignitosa, sul balcone, annaffia le sue piante tristi. Attraverso i vetri, vedi un’universitaria mangiare una pizza d’asporto mentre tiene un iPhone in mano. E’ una serata normale. Si potrebbe recensire così. Viviamo nel secolo delle recensioni. Ma qui si aprirebbe un dibattito troppo lungo sul concetto di critica, rappresentanza partecipativa, giudizio e moralità. Talmente vasto, da diventare pesante, imbarazzante. Puoi solo affermare che, oggi, nell’epoca in cui il qualunquismo è dilagante, la recensione online è l’unico strumento di appagamento verso l’istinto democratico dell’uomo moderno, in quanto essere sociale furtivo. Torniamo alla normalità. Stai bevendo il limoncello di fine serata, ed i tuoi amici parlano. Si parla di uno dei dieci argomenti che più ti annoia: l’argomento, sei tu! Si parla della tua vita, le tue competenze e incompetenze, treni persi, stazioni deserte. E tu sei lì, ad ascoltare. La riflessione più profonda che il tutto ti suscita è: “Ma il limoncello è finito?”. In quell’istante vorresti essere in una canzone di Luca Carboni, essere negli anni novanta, in un bar su un lungomare, con le ragazze che sghignazzano attorno, e tu solo, guardi il cameriere e dici: “Cameriere un altro caffè, per piacere, Olè!”.

11401354_10205656506205566_8121297226777210230_n

La serata è finita. Torni verso casa, come fanno tutti. Tutti tornano verso casa, prima o poi. L’ha fatto Ulisse, lo farà il dirigente dell’Agenzia delle Entrate. E mentre torni, con una malinconia cosi bella, da averci fatto l’abitudine: come un dente storto in bocca, è li, lo hai da anni, ormai è parte di te, non sarebbe il tuo sorriso se quel dente fosse perfettamente dritto. Ci abituiamo all’imperfetto, fin quando diviene parte di noi. Ripensi, senza sapere al perché, ad un personaggio conosciuto qualche giorno prima sull’isola di Ponza.

Eri lì per lavoro. Su quell’isola dalle case con l’intonaco sgretolato, prendi un taxi. Uno di quei taxi piccoli, capaci di inoltrarsi nelle viuzze delle isole. Il tassista ha settantasei anni. Un apparecchio acustico all’orecchio destro. Prima di partire per la corsa, si toglie la maglia sudata, e la posa su un muretto del porto, ponendo una pietra sopra per il vento. La lascia li ad asciugare. Nel frattempo ne indossa un’altra. E con la calma di chi conosce “a pacienza”, sale sul suo taxi e parte. Durante il tragitto, verso una casa in cima all’isola, questo signore dalla faccia solcata “un solco lungo il viso, come una specie di sorriso”, inizia a parlare. Un breve monologo, su strade strette ed in salita. Dice: “Sono il tassista più vecchio di Ponza, ho portato tanta gente qui. Ma non m’importa chi porto, se gente importante o meno. Tutti sono importanti. Tutti avremmo potuto essere ministri, ma molti hanno scelto di essere operai, perché hanno scelto l’onestà.” Qui capisci, che l’onestà è una scelta. E tu lo guardi, in silenzio, con ammirazione, senza minimamente pensare che l’affermazione sia retorica. I finestrini abbassati, l’aria colma di caldo e profumi mediterranei. E lui, senza rispondere ad alcuna domanda continua: “Nessuno è disposto a morire su un isola. Devi nascerci. Solo se nasci su un isola, circondato dal mare, sei disposto a morirci. E non vedi altra morte, se non qui. Perché qui sei disposto a viverci anche d’inverno. Non tutti sono disposti all’inverno. Ma noi sappiamo che l’inverno passa… perché tutto passa dintra a vita, tutto…prima o poi, passa”.

La corsa è finita. Ti lascia lì, sulla parte più alta dell’isola. Ti porge la mano. La stringi. E vorresti abbracciarlo. Sempre con lentezza, risale sul suo taxi scassato. Riparte, nuovamente diretto verso il porto, verso quella maglia tolta prima e stesa al sole: nel frattempo, si sarà asciugata, perché quella maglia è come il suo proprietario, disposta ad aspettare. Tu resti lì fermo. Dinanzi a te la meraviglia incontaminata. Il mare laggiù riflette la luce del sole, come un pannello fotografico. Verso l’orizzonte uno yacht sul quale, forse, uomini e donne versano champagne sulle loro pelli, facendolo scorrere lento. E lente le loro bocche al gusto di Cristal e salsedine si assaporano. Se fosse un film, adesso partirebbe una canzone di Cesaria Evora. Giri lo sguardo e il taxi non c’è più, resta una strada vuota, accecata dal sole. E tu resti lì, fermo, come se avessi assaporato un ultimo sprazzo di umanità.

11335779_10205686635318775_492464000_n

 

 Dedicato al tassista di Ponza,

al quale non ho chiesto il nome.

 

 

/