menu

Rassegna Stampa

Dicono di me

Il cortometraggio “L’imbarcadero” Intervista a Davide Imbrogno e Marco Caputo – di Denise Ubbriaco

Ci sono delle ombre rosse laggiù che ci fanno sentire come fuggitivi dentro notti di pioggia. Questa indifferenza sembra un’esaltazione alla curiosità. Le ombre stanno calando, avverto il peso di un tempo, sempre più distante, sempre più vicino allo stupore. Parole smarrite come un sentiero di montagna poco conosciuto. La memoria lontana è un soldato d’inverno su un campo di battaglia. Ci rialzeremo? Sapremo scorgere oltre la nebbia? Laggiù: una luce incontaminata, oltre questo tempo, oltre questo sentire. Oltre l’ordine di tutte le cose. Il tutto contenuto nel tutto, e noi al di là del confine, oltre il distacco paradossale, oltre le lacrime che diventano umidità. Come invisibili segreti non svelati, fiori appassiti provenienti da una terra arida, come cenere… dispersa nel vento, sotto un cielo rosso.”

Questo è il meraviglioso monologo tratto dal cortometraggio “L’imbarcadero”, realizzato da Davide Imbrogno e Marco Caputo.  Un cast d’eccezione che vanta la partecipazione del celebre attore Tony Sperandeo, del musicista e produttore discografico australiano Hugo Race, di Giovanni Turco ed Annamaria Malipiero, volto della TV italiana e della fiction. Da questo progetto emergono tutta la passione e l’amore per il proprio lavoro e per la propria terra. Per saperne di più, ho avuto il piacere di intervistarli.

Come promesso, dopo poco più di un anno dalla presentazione del cortometraggio “L’attesa”, è stato proposto al grande pubblico un nuovo e straordinario progetto: “L’imbarcadero”. Come e quando è nata l’idea di scrivere la sceneggiatura?

Davide:L’idea nasce più di un anno fa, mentre mi trovavo tra i monti della Sila. In quel periodo stavo scrivendo un racconto, ambientato in un “non-luogo” di montagna, un posto senza nome. M’interessava poter scrivere un racconto intimo dalle ambientazioni, in alcuni tratti, da western pastorale. Quel racconto è stata l’idea di base di questo film. Ne parlai subito con Marco. Entrambi eravamo affascinati dall’idea di ambientare una nostra storia tra i monti della Sila, in quelle zone più selvagge. L’idea di quel racconto che pochi mesi dopo si è trasformata in sceneggiatura, ci sembrava giusta, adeguata.

Racconta ai nostri lettori cosa ti ha spinto a scrivere “L’imbarcadero”.  

Davide:Senza dubbio, sentivo l’esigenza di scrivere una storia su un personaggio che, ad un punto della propria vita, viene richiamato dal passato, da un padre che non vede da anni. Ciò rappresenta la spinta motivazionale per affrontare un viaggio con se stesso. Il luogo di montagna nel quale si ritrova è una metafora della propria vita. Il suo sentirsi smarrito, la necessità di ritrovarsi è speculare al personaggio di suo padre, interpretato da Tony Sperandeo, un ghostwriter, ovvero uno scrittore fantasma. Un uomo che ha sempre vissuto come un fantasma fin quando, un giorno, ha avuto quasi la consapevolezza di esserlo diventato, così decide di rifugiarsi in questo posto sperduto. Si potrebbe definire un luogo magico se, con il termine magia, identifichiamo tutto ciò che non riusciamo a spiegare o a descrivere. Questa è la storia di un incontro tra un padre ed un figlio, una storia sulla loro necessità di riascoltarsi a vicenda, contemplando il silenzio, ma è anche la storia di una solitudine, di quella necessità che si avverte quando ci si vuole riappropriare della propria esistenza, quando ci si ritrova in un punto della propria vita privi di una direzione, in una sorta di limbo, in una linea d’ombra.”

Quale messaggio hai voluto lanciare con la realizzazione di questo film?

Davide: “Ognuno trova il proprio senso. Non credo ai messaggi oggettivi che provengono dal cinema, dalla letteratura o dall’arte in generale. Ogni spettatore interpreta a suo modo la trama e le immagini. Ogni volta che abbiamo realizzato qualcosa, sentire il parere della gente, mi ha fatto capire quanto ognuno ti possa dare. Interpretazioni diverse, contrastanti. A volte lo spettatore trova dei significati estranei persino all’autore.

Ogni progetto rappresenta una sfida. Quali sono state le difficoltà che avete riscontrato con il tuo staff nel girare quest’ultimo lavoro?

Marco:Sicuramente le difficoltà sono molteplici come la mancanza di mezzi e di un ampio staff, ma il bello è proprio questo. E’ una sfida perpetua. La nostra era una piccola troupe, fatta da ragazzi che credono in ciò che fanno e, giorno dopo giorno, ci hanno dimostrato grandissima volontà, forza e tenacia. “L’Imbarcadero” è un film di finzione girato come un documentario che ci ha permesso di esplorare la realtà delle emozioni. Non dico che l’approccio è migliore rispetto al modo in cui si prepara e gira un film hollywoodiano. E’ semplicemente diverso. Per me è stato un modo molto interessante di lavorare. In un certo senso, mi sono sentito più come un fotografo di scena che un regista ed è stato davvero liberatorio. Nel cinema convenzionale si organizza tutto nei minimi dettagli in modo da poter controllare la situazione ed eliminare eventuali sorprese. Ne “L’Imbarcadero” è stato il contrario. Abbiamo utilizzato la luce vera. Il sole, il vento, la pioggia ed altri elementi che sono diventati parte della storia.”

Quanto tempo sono durate le riprese?

Marco: “Le riprese sono durate otto giorni. Giorni in cui ci siamo completamente immersi in questa storia e ognuno cercava di dare il giusto contributo per realizzarla. La chiave è stata quella di reagire rapidamente ad un momento inaspettato o estemporaneo nella recitazione o nel tempo. Otto giorni in cui tutti eravamo alla ricerca di quei momenti effimeri, casuali. Momenti che, a mio parere, rappresentano ciò che caratterizza il film. Ripenso al protagonista su una diga, alla pioggia di un momento drammatico ed al sole liberatorio. Abbiamo voluto mostrare le cose che accadevano e catturarle prima che scomparissero. Penso che questa sia una forma di cinema che si collega direttamente al contenuto della storia. A volte la macchina da presa era molto vicina agli attori, un po’ come un voyeur.”

Dov’è stato ambientato il film? A cosa è dovuta la scelta di questa location?

Marco: “Questa produzione ha avuto come scopo la promozione della Calabria, terra ricca di bellezze naturali, di potenzialità e di risorse. E’ la Calabria che non ti aspetti, o che molti non conoscono. La Calabria è piena di storia, tradizioni, bellezze paesaggistiche, naturali, archeologiche: un mix di elementi in grado di rendere questo posto tra i più variopinti ed accattivanti in Italia. Guardando il film, spero che lo spettatore resti inghiottito dai luoghi, come se fosse lui stesso a calcare i passi del protagonista che corre, che osserva un panorama della meravigliosa Sila, che varca la porta di una casa.”

Un cast molto interessante. C’è qualche aneddoto che vuoi raccontarci a tal proposito?

Davide: “Risale a prima ancora che iniziassero le riprese. Eravamo ancora in fase di pre-produzione, non sapevamo chi fossero i protagonisti. Qualche giorno prima, avevamo contattato l’agente di Tony Sperandeo per proporgli il film, inviandogli la sceneggiatura. Ricordo la prima volta che chiamai Sperandeo, ancora non aveva letto nulla e mi sembrava un pò diffidente (parecchio diffidente!). Qualche giorno dopo, nella notte, sarà stata l’una, mi arriva un sms. Era lui che mi chiedeva se poteva telefonarmi a quell’ora della notte, perchè aveva appena finito di leggere la sceneggiatura e voleva parlarmi. Sembrava la scena di un film. Ricordo che lo chiamai immediatamente, dall’altra parte del telefono non c’era uno dei più grandi caratteristi del cinema italiano, bensì una persona di un’umanità estrema. Mi disse quanto aveva apprezzato la sceneggiatura e di come si sentisse legato a quei dialoghi, a quel personaggio. Restammo un’ora al telefono. Sperandeo iniziò a provare la parte, la leggeva, la recitava con diversi toni. E’ inutile dirlo, in quell’istante pensai al fatto che, dall’altra parte del telefono, c’era un’icona del cinema italiano, uno di quegli attori che hanno accompagnato la mia infanzia. Mi sono ritrovato con le lacrime agli occhi improvvisamente. Credo sia stato un momento molto vero, sincero, di quelli che restano.”

Cosa rimane dopo aver girato un film ed, in particolare, cosa ti è rimasto impresso nel cuore dopo la fine delle riprese de “L’imbarcadero”?

Marco:Sicuramente le emozioni. Ti faccio un esempio. La fotografia non è stata utilizzata per illustrare il dialogo o una performance, ma per catturare le emozioni in modo tale che il film rappresenti “un’esperienza”. E’ stato pensato e girato per innescare vibrazioni, come un profumo. Ciò che mi resta sono tutte le emozioni che abbiamo vissuto giorno dopo giorno, ognuna di esse è un profumo che avverto. Mi rimangono le scene, le interpretazioni degli attori, la luce naturale che cambiava e ci avvolgeva come una danzatrice di fado. Mi sono rimaste le chiacchiere, le risate che avvenivano la sera a fine ripresa tutti insieme davanti un bicchiere di vino. In particolare, mi è rimasta la bellezza della nostra terra, lo scoprire quei posti nelle diverse ore del giorno, l’alba ed i tramonti che ci hanno trasmesso l’incanto.”

Il film è stato prodotto da Biafora. Com’è nata questa collaborazione?

Davide: “Oltre ad essere gli autori e film-maker, ci occupiamo di comunicazione avendo un’agenzia pubblicitaria. Abbiamo intrapreso da anni una collaborazione con i Biafora, curando il loro brand a 360°. Essendo questa storia ambientata in una montagna, abbiamo proposto loro l’idea di ambientarla in Sila, per far si che questo corto, non fosse solo un prodotto cinematografico, ma anche un modo non convenzionale di marketing territoriale. I Biafora, che operano da anni nel territorio silano, hanno creduto in questa strategia, volendo essere i promotori, attraverso il loro brand, di una Calabria che crede nelle proprie risorse. Hanno voluto seguire l’esempio di grandi aziende che in passato hanno investito in progetti simili, dandoci la piena libertà di espressione e, soprattutto, senza pretendere l’inserimento di un piano di product placement.”

Quanto è importante, nella realtà territoriale calabrese, che un imprenditore investa in progetti di questo tipo?

Marco: “Fondamentale! Non abbiamo mai preso soldi pubblici, mai partecipato a bandi di concorso. Abbiamo sempre cercato persone che credessero nei nostri progetti. Abbiamo ricercato la fiducia altrui. Se ogni imprenditore che opera nel proprio territorio, non mi riferisco solo a quello calabrese, decidesse di investire nelle risorse che lo circondano, promuovendole, credo che potremmo ammirare molte opere, progetti, e tanto altro. Questo significa dare la possibilità ai giovani di credere nel proprio lavoro e nelle proprie idee, facendo in modo che tali idee diventino realtà. Non parlo solo di cinema. Quindi, la lungimiranza di un imprenditore o di colui che possiede le possibilità di investimento, è fondamentale per sganciarci dalle solite logiche politiche.”

Un tuo parere riguardo alla situazione attuale del cinema italiano? 

Marco: “Mi sembra davvero buona. Dopo un periodo di crisi, abbiamo rivisto una crescita del cinema italiano. Esempio principale è l’Oscar di Sorrentino. Negli ultimi anni, ci sono state ottime produzioni e ottimi film. Mi auguro che l’Italia possa ritornare ad essere quella di Cinecittà con produzioni che hanno fatto la storia del cinema, non solo italiano.

Un anno carico di sogni speranze, soddisfazioni, conquiste, sacrifici e crescita. Qual è il bilancio?

Marco:E’ stato un anno carico di soddisfazioni. Nei diversi lavori che abbiamo svolto sia quelli commerciali che “artistici”. Un bilancio molto positivo che ci spinge ad andare avanti.”

Quali sono le nuove aspettative?

Davide:Parteciperemo ad un pò di concorsi con “L’imbarcadero”, con l’intento di far vedere a più persone possibili il nostro lavoro. Le aspettative sono quelle di continuare il nostro lavoro e cercare di migliorarci sempre.”

Il duo Imbrogno – Caputo è, ormai, consolidato. Tanta strada insieme, tanti lavori e tanto successo. Progetti futuri?

Davide: “Essendo questo il nostro mestiere, lavoriamo quotidianamente su progetti di comunicazione, come i vari spot pubblicitari che realizziamo. Per quanto riguarda l’aspetto cinematografico, avremmo in mente un’idea, ancora non sappiamo come concretizzarla e se renderla un nuovo cortometraggio o, magari, avere la possibilità di farne un lungo, quindi senza avere la limitazione del tempo di durata. Sicuramente, un progetto futuro c’è ed è quello di continuare. Facendo, da buoni meridionali, gli scongiuri!

d_i1

 

Cinema made in Calabria: la grande attesa di Alfredo Sprovieri

Lo stupore. Fine ultimo e ultima fine dell’artista. Il resto è “L’ATTESA”. I giovani Marco Caputo e Davide Imbrognofirmano un minifilm che cristallizza questi concetti in un prodotto ammirevole. Il cortometraggio è stato presentato in un cinema Garden di Rende pieno come un uovo e in piedi ad applaudire a fine proiezione. Di questi tempi si direbbe che è tantaroba. La pellicola dei due artisti cosentini è stata finanziata da mecenati privati, questo è un fatto addirittura nuovo per la Calabria. Si tratta della famiglia Barbieri, noti imprenditori di Altomonte che hanno riversato nel progetto la speranza di sostenere la valorizzazione non solo dei talenti ma delle ricchezze del territorio nel quale operano da generazioni.
Trascurabile e semmai rivedibile l’impalcatura della presentazione al pubblico, una vera e propria recensione del film necessiterebbe di almeno un altro paio di attente visioni. Per ora nulla vieta di sviscerare cosa la serata ha impresso su un taccuino che non c’è. Il film è ambientato fra New York ed Altomonte, interscambiabili punti di arrivo e partenza di un pubblicitario in crisi di mezza età. Le atmosfere sono sorrentiniane nella migliore delle accezioni, la fotografia firmata da Caputo più che una sorpresa è una conferma (guarda QUI il corto “Il rappresentante”) e semmai lo stupore lo confeziona come vi si incastona il soggetto scritto da Imbrogno, zeppo di citazioni emozionali da teatro dell’assurdo. Riuscire a trasferirne con semplicità la potenza del messaggio in dialoghi prettamente cinematografici – nelle riassunte biografie dei personaggi – è davvero degno di nota sul taccuino di cui sopra.
Beckett, ovviamente. Majakovskij inconsapevolmente. Il protagonista spaesato, interpretato a pennello da Paolo Mauro, è alla ricerca di una pausa dallo scorrere di una vita di successi vuoti come l’involucro delle pillole sul comodino. L’immobilità della sua anima ha bisogno di coraggio, di un viaggio nella terra dove sa di non trovare più nessuno se non se stesso. Il moto fisico che ripercorre i passi al contrario può portarlo più vicino a cosa si porta dentro. Un quadro in un ristorante della Grande Mela è filosofale allo scopo. Raffigura uno dei borghi più belli d’Italia, l’Itaca di cui aveva bisogno. Trainato da un’ottima colonna sonora, il raccontato porta il protagonista e lo spettatore alla lenta riscoperta di un luogo interiore che pare incarnato nella natura calabrese fedele a se stessa, ferma e sorniona attorno al perpetuo giro delle pale eoliche. Le atmosfere del paese sono sempre uguali ma di raro banali, i camerieri quando non li vede nessuno ballano un’incantevole tango; il fattore – un cameo del patron Enzo Barbieri – conduce fra sorrisi e scossoni sul suo trattore il protagonista nel centro del borgo. Le immagini fanno da spot al territorio mentre il creativo cerca la pace seduto fra i banchi della maestosa chiesa. Il silenzio è distrutto dal canto di Dario Brunori, divertito e divertente prete strampalato che “se non fosse stato per il grunge degli anni novanta avrebbe fatto di certo il cantante“.
Poi il pasto in penombra, in una delle rinomate cantine ritrova il tratto di quell’artista, la distanza con New York si colma. In una serie di personaggi che simboleggiano il come potrebbe essere e il come sarebbe stato la coscienza della pellicola ottiene il suo massimo sforzo focale. Su tutti brilla Totonno Chiappetta, incantevole custode in preda alle grida della moglie e di una vita lussuosa ormai lontana, bruciata su un tavolo da poker. Poi, alla maniera di Dickens, l’entrata vigorosa del fantasma più importante. Il dissidio interiore del pubblicitario si sdoppia nella figura del pittore Cecè, dato alla vita sullo schermo da un’intramontabile Giovanni Turco. In paese lo dicono pazzo, sempre accanto al cane Libero con il suo bastone, attendeva da dieci anni quello sconosciuto arrivato da lontano. Gli chiede di portarlo alla fine, in direzione dello stupore.
Eseguito questo tragico compito, il protagonista, ormai sazio dell’epifania che cercava, riflette sull’esistenza decifrando il panorama con uno splendido monologo e con un romantico e silente tango dei camerieri.
Sullo sfondo resta una grande ed amara bellezza.

d_i1

Intervista al “Caffè di Rai1″

 

d_i1

“L’Imbarcadero” un film senza confini di Simona Stammelluti

É un cinema d’autore, quello che Davide Imbrogno e Marco Caputo, regalano al pubblico.
“D’autore”… perché quel loro modo di scrivere, di sceneggiare e di dirigere, rispecchia meravigliosamente bene la loro personalità, quella che riconosci, se questi due giovani talenti del cinema italiano, li segui da un po’. Conservano umiltà e quel pizzico di timidezza, loro, malgrado siano già navigati quanto basta, per poter lasciare il segno in un mondo nel quale non é solo difficile scrivere storie credibili e non banali, ma ancor più difficile è reperire i mezzi finanziari, per produrre opere che rischiano di rimanere nel cassetto troppo a lungo.
Eppure la loro credibilità, non solo convince attori italiani di fama internazionale, che accettano senza riserve di essere diretti da questi due giovani e talentuosi registi, ma varca anche i confini del bel paese, tanto da raggiunge artisti famosi e “lontani”, che mettono a disposizione la propria esperienza, la propria voglia di arte, al servizio di un film ben scritto e ben girato.
A questa pellicola, hanno partecipato attori del calibro di Tony Sperandeo, noto al grande pubblico per le sue straordinarie performance, Annamaria Malipiero, attrice prestata al cinema dal mondo delle fiction.
Ma degna di nota, nella pellicola, é la struggente ed emozionante interpretazione di Hugo Race, musicista australiano che non solo ha acconsentito a che le sue musiche, facessero da colonna sonora al film, ma ha accettato la parte che Davide Imbrogno aveva scritto, per quel personaggio che Race, ha saputo incarnare con coraggio ed intensità.
E poi un affidabile Giovanni Turco, perfettamente calato nella sua parte, come se fosse capace di rinascere ogni volta, nei panni dei personaggi che gli vengono affidati, come se per una sorta di magia, fosse lui, l’unico giusto per quel ruolo.
La sua, la parte di una sorta di “traghettatore” che conduce il protagonista dal “prima”, al dopo, nella speranza di non fare “troppo tardi”.
Questa pellicola che si intitola “l’imbarcadero”, presentata ieri 29 settembre, in prima serata, al cinema Garden di Rende, ha delle peculiarità.
Alcune di esse sono prettamente tecniche, altre invece riguardano la “vita” stessa, dell’opera, da come é nata, da come ha “avuto respiro”, per finire al “come” ha potuto vivere grazie al coraggio e alla lungimiranza imprenditoriale della famiglia Biafora, che ha prodotto questo lavoro cinematografico, dando fiducia al lavoro dei due registi, credendo nella storia raccontata, nel talento di Marco e Davide, e del loro staff…e poi incoraggiandolo, quel talento.
Ma questa produzione, ha avuto anche come scopo, il promuovere la Calabria, come terra ricca di bellezze naturali ed artistiche, ricca di potenzialità e di risorse, che spesso non vengono valorizzate se non da chi, da diverse generazioni, crede nella forza delle proprie idee, nella professionalità e nelle radici, che diventano il filo conduttore tra ciò che è stato creato con impegno e sacrificio, e quel futuro che merita di essere difeso e non gettato via, altrove. Un sottile incoraggiamento alla riscoperta degli usi e costumi della nostra bella Calabria, nella pellicola e poi i luoghi… Luoghi straordinari e suggestivi, quelli dove questo film è stato girato. La meravigliosa Sila, che per centinaia di chilometri si estende tra sterminati spazi aperti e la chiusura raffinata ed incontaminata di un parco naturale e paesaggistico che nulla ha ad invidiare ad altri posti del mondo, e che accoglie laghi e profumi da godere, almeno una volta nella vita.
È anche questa, una delle bravure, da attribuire alla “fotografia” di Caputo. Guardando il film, resti inghiottito dai luoghi, come se tu stesso stessi calcando i passi del protagonista che corre, che osserva un panorama, che varca la porta di una casa. Questa sorta di tridimensionalità che rende impeccabili quelle immagini che – per tutta la durata del film – ti rapiscono e non ti permettono distrazione, ma solo il desiderio di vivere attraverso le immagini, le emozioni della storia raccontata.
Ecco…la storia.
Una storia “volutamente” celata, nel suo significato.
É questa la caratteristica di Davide Imbrogno, scrittore e sceneggiatore. Lui ha questa capacità…di scrivere soggetti, che “ti conducono” alla riflessione, e mettono alla prova la tua capacità di comprendere sfumature e dettagli di storie che vengono raccontate senza mai banalità, senza mai essere scontate. Ricordiamo “il rappresentante”, “l’attesa” – cortometraggio finalista per il premio Donatello – che prima di questo ultimo lavoro, hanno segnato la sua personalità, con quel segno di riconoscimento che lo differenzia da tutti gli altri. Quel suo modo di sottolineare il senso della vita, le difficoltà di alcuni rapporti, la voglia di “andare oltre”.
E sono le immagini finali di tutti i film di Caputo ed Imbrogno, a sottolineare questa voglia di voltare pagina, e di credere “ancora” in qualcosa. Come dice Mark, il protagonista del film in una delle battute cardine: “tutti, abbiamo bisogno di credere in una storia”.
Ecco, quel “bisogno di credere” viene fuori da immagini che sono sempre perfettamente illuminate, da inquadrature che mettono in rilievo le espressioni dei volti di quei protagonisti che imprimono nello spettatore la bramosia di scoprire cosa accadrà sul finale, dove quella storia ti condurrà.
E la storia ti consegna un finale che ti lascia stupito ed emozionato.
E se vi state chiedendo, dove questa storia conduce, sappiate che non ho nessuna intenzione di svelarmi “completamente” la trama, né tutti i segreti contenuti in essa. Questo perché recensire un film, ha come scopo raccontare una storia, e tutto quello che c’è dietro la sua realizzazione, portando il lettore ad un punto di curiosità tale, da desiderare di poterlo vedere, al più presto.
É una storia che traccia a passi lenti la vita di un padre e di un figlio, che non si comprendono mai fino in fondo, se non in un ultimo momento di chiarezza, ma quando ormai é troppo tardi per tutto. É tardi per tornare indietro, per sbagliare di meno e per comprendersi di più.
È la storia di un “ritorno”…ma non un semplice ritorno ad un luogo, ma ad un legame.
È il racconto di come spesso si vive di insoddisfazioni, investendo troppo sugli altri e poco su se stessi, ingoiando bocconi amari di viva che non è quella che si vorrebbe vivere, mentre si sceglie di andare avanti “finché dura” o finché non resta che scappare, per non soccombere alla pesantezza di incomprensioni, di sforzi inutili e di mancata libertà. É il mongolo appassionato e a cuore aperto di Attilio, il padre del protagonista, nella persona di Tony Sperandeo, a dare “il senso” a quel punto di rottura che nella vita di ognuno di noi spesso avviene, senza neanche che ce ne si accorga. Quella sua parlata così caratteristica, quel suo modo di guardare il proprio interlocutore, emoziona e fa riflettere.
Mentre dalle sue tante sigarette fumate viene fuori la sua rabbia, e non solo fumo consumato.
Questo film é un percorso fatto nella riscoperta della solitudine, del silenzio, dell’essenziale, mentre ci si trascinano dietro dei sensi di colpa per ciò che si è lasciato, lontano…troppo lontano per poterlo stringere di nuovo a se.
E allora in un “atto finale” che suona più come libertá, che come addio, un figlio, Hugo Rice, ritrova la risposta ai suoi tanti perché, mentre urla la sua rabbia – la stessa che era appartenuta a suo padre – che però lascia il posto al dolore e poi… E poi vi invito a vedere questo film, perché merita.
Merita di essere visto e merita le vostre emozioni.
Però un’ultima cosa la vorrei dire, su questo lavoro cinematografico. Loro, Davide e Marco sono giovani, ma hanno capito “bene” una cosa che a mio avviso é essenziale: la forza del talento e delle idee, non ha confini.
Ed io devo ammettere, dal mio ruolo di scrittrice, che questi due giovanotti qui, sanno come sorprendere il pubblico, che è sempre alla ricerca di emozioni e di quel punto luminoso, chiamato qualità.
Ah dimenticavo… Sul finale, Mark, il protagonista, riparte…ma non è solo.
Ma questa, forse, è già un’altra storia.
The end.

d_i1

“L’imbarcadero”, viaggio in una Sila etica ed esettica di Santino Cundari

«Etica ed estetica son tutt’uno». E gran parte della storia della cultura del Novecento ce l’ha lasciato in eredità; ma senza scomodare nani o giganti del secolo scorso arriviamo al punto: parliamo un po’ de L’imbarcadero. L’ultimo lavoro curato e realizzato da Davide Imbrogno e Marco Caputo è un gioiellino di estetica. Un messaggio promozionale che ha a che fare, appunto, con il profilo più bello della nostra terra. Non un film, forse anche qualcosa in meno di un cortometraggio: un gioco di luci “scientifico”, studiato, che si propone – quasi in maniera paradossale – di dare risalto allo splendido contesto naturale della Sila. E ci riesce.
Verdi distese incorrotte, tradizioni, lentezza e solitudine. Una breve storia s’intreccia con se stessa e si lascia apprezzare per la “metafora del pacco”, trasportata qua e la per la Sila, piena di paure, antichi rancori e, soprattutto, ricordi. Hugo Race (Mark), musicista di fama internazionale, veste i panni di un protagonista romantico e un po’ cervellotico. Spigoloso, per il suo accento italo-australiano e per i modi con cui si relaziona con le (poche) persone che incontra. L’imbarcadero è il Caronte della nostra Sila. Trasporta sulla sua barchetta il nostro protagonista fino al suo personalissimo inferno, ammonendolo e mettendolo in guardia. Ci sono sempre dei vecchi diavoli pronti ad attendere sulle sponde opposte dei nostri migliori intenti.
«Guai a voi! Guai a voi!» – urla “Caronte”, e ancora – «devi pagare come tutti i mortali!», «la superficie corrotta del fato!» e «l’eterna narrazione!», le più autentiche farneticazioni, impersonate dall’ennesima trasformazione di Giovanni Turco,che per mano accompagnano questo breve viaggio. Un brillante Tony Sperandeo recita la parte del padre di Mark. Un padre esiliato, una personalità che soggiace e si nasconde dietro altri nomi. Un ghostwriter di biografie, incapace di scrivere della propria vicenda, incorniciato all’interno di una fotografia di scena onirica che dura una sola notte. Poi il mattino, un faro, un lago, pioggia mista a raggi di sole, le braccia di Mark che si aprono e sfiorano un senso di libertà tutto nuovo. Pronto a ricominciare da una panchina bordeaux scolorita dal sole, immersa nel verde, davanti ad una striscia grigia di strada, in attesa di un bus che (sorpresa), alla fine, passerà. Ed ecco Alice (interpretata da Annamaria Malipiero), i due si erano piaciuti la “notte prima del sogno”. Due individui, un uomo e una donna di borgesiana memoria che, «ignorandosi, stavano salvando il mondo».
E l’etica? Dopo il bello, dov’è il buono? Quello è tutto fuori dalla scena e appartiene alla famiglia Biafora. Sul parco del cinema Garden di Rende si sono definiti «imprenditori e montanari», sminuendosi fin troppo, così come solo le persone semplici sanno fare. In realtà, l’aver investito in questo messaggio promozionale (d’autore), fa di loro dei magnati. Puntare sulle idee e sulla bellezza in anni di profonda crisi: è questo l’esempio più buono e giusto che si possa dare.
Lo sanno tutti, ma pochi ci credono davvero.
(Articolo pubblicato su “Mmasciata”)

d_i1

L’Attesa: il cortometraggio firmato da Davide Imbrogno e Marco Caputo. Intervista agli autori. 

Una bella scommessa l’idea di Davide Imbrogno e Marco Caputo di proporre la realizzazione di un cortometraggio ad uno dei noti imprenditori calabresi, Enzo Barbieri. Eppure, la scommessa è stata vinta. La famiglia Barbieri ha creduto ed investito nel progetto dei due talenti calabresi e la sera del 15 luglio, presso il Cinema Garden di Rende (CS), abbiamo assistito alla presentazione del cortometraggio “L’attesa” firmato da Davide Imbrogno e Marco Caputo.
Come si dice: “l’attesa è stata lunga, ma ne è valsa la pena.”
Tra gli attori, nel cast troviamo: Josh Gaspero, Paolo Mauro, Giovanni Turco, Totonno Chiappetta, Maryla Colandrea-Scotto, Dario Brunori.
Al termine della visione del corto: applausi scroscianti e standing ovation. L’approvazione è stata immediata. Così ho pensato bene di far loro un’intervista. L’intesa, la perfetta alchimia e l’ammirazione reciproca fra i due giovani è ammirevole.
L’intervista inizia con Davide Imbrogno (Copywriter, Screenwriter, Creative Director, Writer).
Davide, com’è nato il vostro sodalizio? E’ stato “amore a prima vista”?
(Ride) “Ci siamo conosciuti sul set di un videoclip, girato due anni fa, che vedeva come protagonista Paola Barale. Da lì, abbiamo iniziato a conoscerci. Ci siamo trovati d’accordo su alcune idee relative al cinema e all’arte in generale. Così abbiamo iniziato a lavorare insieme.”
Ho visto il vostro corto “Il rappresentante”. Lo scorso anno si è aggiudicato il primo posto al “Concorso Registi” del progetto Moda Movie 2012 “Urban Lifestyle: la moda e le città”. Com’è nata l’idea e come si è evoluta la vostra carriera?
“Marco mi chiamò e mi propose di realizzare un corto. Io scrissi l’idea e decidemmo di realizzarla. Il corto ha vinto il Premio Cinema Moda Movie. Da lì sono iniziate una serie di collaborazioni. Abbiamo realizzato videoclip musicali, spot pubblicitari suddividendo sempre i ruoli. Io scrivo e Marco dirige. Siamo sempre complementari l’uno all’altro. Il mio lavoro non può esserci senza quello di Marco e viceversa.”
Il binomio perfetto.
“Si assolutamente. Un ottimo binomio. Per lavorare con un’altra persona bisogna avere più o meno gli stessi interessi, gli stessi gusti. Ci confrontiamo su molti aspetti quotidianamente e cerchiamo di raggiungere un compromesso. Tutto ciò avviene sempre con il rispetto del ruolo che ciascuno di noi occupa.”
Avete riscontrato difficoltà nel lavorare insieme o nel prendere decisioni?
“Per fortuna no. Può succedere che ci sia qualche discussione, ma lavoriamo insieme proprio perché il connubio funziona e ci rende soddisfatti del prodotto finale che si realizza. Spesso dobbiamo riscontrarci con grosse difficoltà di budget e mezzi che non abbiamo a disposizione. Il lavoro che svolgiamo non è solo quello dello scrittore e del regista, ma ci occupiamo anche di una serie di aspetti organizzativi e produttivi che comportano molto lavoro.”
In quest’ultimo anno avete fatto tanta strada. Vi sentite cambiati?
“Ogni progetto che abbiamo realizzato ci ha fatto crescere e migliorare. Crediamo che continuando a lavorare insieme, a studiare, a vedere il lavoro dei grandi maestri potremo migliorare giorno dopo giorno. Speriamo che di volta in volta i nostri lavori potranno avere qualcosa di migliore.”
A chi ti ispiri, in genere, quando scrivi?
“Sono un amante della letteratura. In particolare amo la letteratura russa di fine ‘800, la letteratura americana a partire dalla beat generation, senza escludere i grandi autori italiani. Abbiamo avuto una grandissima letteratura in Italia e grandi sceneggiatori come Ennio Flaiano e Tonino Guerra. Sono stati grandi maestri. Un autore in genere si ispira sempre ai più grandi.”
Come e quando è nata l’idea di scrivere la sceneggiatura del film “L’attesa”?
“L’idea nasce l’anno scorso. Io e Marco eravamo in viaggio a Santa Maria di Leuca. Un pomeriggio, eravamo su una terrazza, stavamo fumando una sigaretta e ho notato degli anziani mentre guardavano l’orizzonte. Eravamo in un posto a sud dell’Italia, un luogo molto bello. Lì, mi sono chiesto cosa stessero aspettando. Sembrava che fossero, lì, in attesa di qualcosa. Così mi ha incuriosito il concetto di attesa nell’individuo. E’ un concetto che viaggia in parallelo a quello della speranza. Ognuno di noi è sempre in attesa di qualcosa. L’amore stesso è un’attesa, è una ricerca continua. E’ nata, così, l’idea di scrivere la storia di due personaggi diversi, ma allo stesso tempo molto simili.”
Cos’hanno in comune i due personaggi?
“Uno è l’alter ego dell’altro. Vivono due realtà totalmente diverse. L’ambiente che li circonda è diverso: uno vive in una grande metropoli, New York, e l’altro in un paese del Sud Italia,Altomonte (Calabria). I due hanno un mondo interiore simile: vivono le stesse insoddisfazioni. Ognuno ricerca qualcosa. Ognuno è in attesa di stupirsi nuovamente. Fin quando, alla fine del film, entrambi scelgono una strada diversa e cercano di dare un senso alla propria vita. Ovviamente, non vi svelo il finale. Il personaggio interpretato da Giovanni Turco sceglie una strada, mentre il protagonista, interpretato da Paolo Mauro, ne sceglie un’altra. Questo film ha un finale aperto, come quello de “Il rappresentante”. Non mi piace dare delle risposte.”
Lasci un punto interrogativo, così gli spettatori restano col fiato sospeso?
“Esattamente. Secondo me, è compito del cinema fare in modo che lo spettatore si ponga delle domande, così ognuno può cercare delle risposte. Ogni personaggio che vediamo nel film è in attesa di qualcosa. I personaggi interpretati da Giovanni Turco e Paolo Mauro si sviluppano meglio e giungono ad una conclusione.”
Quindi, cosa cerca il protagonista?
“Il protagonista parte dalla ricerca di se stesso. Ricerca curiosità, stupore, qualcosa che possa spingerlo oltre la disillusione accumulata, per anni, e fatta di successi a New York. Si tratta di un pubblicitario di grande talento, che arriva a non avere più idee. Si ritrova con una moglie che lo ama, ma allo stesso tempo non riesce a vivere con lui. I loro mondi sono totalmente opposti. Il protagonista ritorna nella propria terra di origine, come Ulisse che torna nella sua Itaca. Il finale è da vedere.”
Per te, cos’è l’attesa?
“L’attesa è il concetto sostanziale della vita. Tutti siamo in attesa. E’ un aspettare il divenire. Penso che sia un elemento fondamentale dell’esistenza umana, come lo è anche la speranza. Se un essere umano non avesse la speranza, non potrebbe vivere. Allo stesso tempo la speranza ci fa attendere. Ci si aspetta sempre qualcosa di nuovo, che ci spinga ad andare avanti, che ci faccia vivere giorno dopo giorno. Il voler migliorare, la ricerca, il confrontarsi con se stessi è qualcosa di molto profondo e che si lega al concetto di un’eterna attesa di se stessi.”
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
“Ce ne sono diversi. A me piacerebbe molto vivere di scrittura. Spero di poterlo fare.”
Quali emozioni hai provato nel vedere il successo riscosso dal vostro lavoro, dopo la presentazione al Cinema Garden?
“E’ stata un’emozione immensa. Quando ti trovi da solo a scrivere, sei tu, il tuo foglio di carta, la tua penna e il tuo mondo. Punto. Inventi i personaggi, li fai vivere, li fai morire, decidi di caratterizzarli in un modo e hai delle immagini che vivono nella tua mente, quasi come se fossero dei fantasmi che hai dentro. E’ un’emozione bellissima vedere che i personaggi prendono vita sul set, le scene che diventavano realtà, i dialoghi che diventavano vere parole. Mi sono emozionato nel vedere il prodotto finale. Ringrazio Marco che è riuscito perfettamente a realizzare un’idea che prima era solo dentro di me. E’ stato emozionante salire sul palco, con il teatro pieno di gente, e ricevere tanti applausi.”
Il progetto è stato finanziato da Enzo Barbieri. Quali pensieri pervadevano la vostra mente prima e dopo averlo presentato ad un grande imprenditore come lui?
“All’inizio eravamo molto dubbiosi sul fatto che un imprenditore potesse accettare un’idea come questa e finanziare un cortometraggio. L’entusiasmo di Enzo e della Famiglia Barbieri ci ha spinto a realizzare il nostro progetto. E’ stato un lavoro di gruppo e ognuno di noi ha dato il massimo.”
Progetti futuri?
“Ora, ci prendiamo una piccola pausa. Vogliamo realizzare un nuovo cortometraggio. C’è un’idea che presenteremo il prossimo anno.”
Ed ora passo la parola a Marco Caputo (Cinematographer). Marco, è nata una bella coppia.
“Eh, si. Ormai la collaborazione con Davide dura da due anni. Ci troviamo bene su tutto. E’ stata una fortuna trovare lui che oltre ad essere una spalla dal punto di vista professionale, è un amico.”
Come nasce la scelta di girare alcune scene nella “grande mela”?
Abbiamo scelto di girarle a New York perché, per antonomasia, rispecchia il concetto di metropoli rispetto alla realtà del borgo calabrese. Due realtà diverse, con ritmi diversi, più frenetici a New York e più tranquilli ad Altomonte.”
Parliamo delle emozioni che sono affiorate, in te, nel veder realizzato un bel sogno, un lavoro in cui avete investito tempo, passione ed energia.
“E’ stata un’emozione davvero grande veder realizzato il nostro progetto. Il plauso del pubblico e di una città che ci sostiene e ci apprezza, ci fa davvero piacere e ci fa capire che siamo sulla strada giusta. La presenza di Franco Azzinari (pittore) e di Mario Oliverio (Presidente della Provincia di Cosenza) ci ha riempito il cuore e ci fa sentire che persone di una certa caratura culturale e istituzionale ci seguono e ci apprezzano.”
Lo chiedo anche a te. Qual è il tuo sogno nel cassetto?
“Fare cinema in Calabria. Il sogno nel cassetto è non fare più matrimoni e dedicarmi soprattutto a questo. Forse partiamo un po’ svantaggiati, perché fare il regista a Londra o in Irlanda è diverso dal farlo in Calabria.”
La cosa bella è che non fate parte del gruppo dei “cervelli in fuga”. Restate qui, vero?
“Assolutamente si. Abbiamo deciso di restare. Siamo molto legati alla nostra terra, ma nella vita non si sa mai. In ogni nostra produzione c’è la Calabria e di questo ne siamo orgogliosi.”

d_i1

L’Attesa ultimo film per la regia di Marco Caputo e scritto da Davide Imbrogno presso il cinema Garden di Rende di Pileria Pellegrino

“L’Attesa” è il titolo dell’ultimo film per la regia di Marco Caputo e scritto da Davide Imbrogno, prodotto da Barbieri, che sarà presentato in anteprima lunedì prossimo, 15 luglio alle ore 20.00, presso il cinema “Garden” di Rende, con ingresso gratuito. Il corto con Paolo Mauro, Giovanni Turco, Dario Brunori, Josh William Gaspero, Totonno Chiappetta, Maryla Colandrea-Scotto, è stato girato tra New York ed Altomonte, e narra la storia di un pubblicitario italo-americano in crisi esistenziale, pronto a scappare via e rifugiarsi in Calabria per ritrovare se stesso. “L’Attesa” come sinonimo di aspettativa, di ri-uscita di qualcosa. È la proiezione di un progetto, di una speranza, una proiezione che può essere accusata come pesante, come vincolante, che grava sull’uomo inchiodandolo nel modo in cui gli altri lo vedono, togliendogli quindi libertà. Ma “L’Attesa” può però essere un tipo di aspettativa più profonda e più leggera, quasi attesa del sole che sorga ancora una volta, discreta, umile, ma fedele e fiduciosa.
Può essere l’attesa del conosciuto, qualcosa su cui fare affidamento: eppure essa non è certezza, né pretesa di certezza. È quella minima fede nella conoscenza di come va il mondo, di come vanno le persone, lungi dall’essere pretenziosa, che è però forte e solo chi è sovrano nella scelta dovrebbe percepire come onore.
“L’Attesa” dunque un’opera che vuole essere una riflessione sull’esistenza e sulle sue sfumature. Una riflessione su diversi aspetti dell’animo umano, il personaggio interpretato da Paolo Mauro, sembra essere catapultato in una sorta di linea d’ombra, in una convivenza con un malessere che spesso cerca di non affrontare, cercando di allontanare se stesso dagli altri.
L’idea di base del corto non è solo quella di raccontare una storia e fare cinema, ma è anche quella di promozione del territorio, un connubio tra comunicazione e cinema.
Marco Caputo e Davide Imbrogno sono due giovani di grande talento impegnati da anni nel fare cinema in Calabria senza avere a disposizione grandi troupe e grossi budget. Una sfida resa possibile grazie al loro ineccepibile estro, alla creatività ed originalità che li contraddistingue, ma anche grazie a quanti credono nei loro progetti e li finanziano, come nel caso della famiglia Barbieri di Altomonte. Tra gli artisti internazionali che hanno mostrato grande stima verso questi due giovani cosentini è Hugo Race, musicista australiano, ex membro del gruppo di Nick Cave, che ha concesso i diritti per l’utilizzo di un suo brano.
.

d_i1

L’ultima fatica di Caputo e Imbrogno. Uscirà a giugno il corto “L’attesa” girato in America. 

(Gazzetta del Sud)

Fare cinema in Calabria, senza avere a disposizione grandi troupe e grossi budget: è possibile. Lo dimostrano Marco Caputo e Davide Imbrogno. I due giovani artisti calabresi – già autori di numerosi videoclip, spot pubblicitari e un cortometraggio dal titolo “Il rappresentante” – si sono imbattuti in una nuova impresa. Dare vita ad un cortometraggio ambientato tra New York e la Calabria. Il corto – intitolato “L’attesa” – è stato finanziato dalla famiglia Barbieri di Altomonte, noti ristoratori calabresi, che hanno creduto nell’idea proposta dai ragazzi. La prima parte del cortometraggio, scritto da Davide Imbrogno per la regia di Marco Caputo, è stata girata nella Grande Mela. I due artisti, accompagnati dall’attore protagonista – il cosentino Paolo Mauro – si sono recati oltre oceano con la voglia di potersi esprimere senza temere il confronto con una grande realtà, avendo a disposizione una piccola troupe e un cast italo americano. Nel cast newyorkese vi è anche Josh Gaspero – noto editore americano – il quale ha messo a disposizione, per alcune scene in interno, un locale al centro di Manhattan del quale Gaspero è socio con Chris Noth (il noto divo americano di “Sex and the City”). Le riprese del cortometraggio di Marco Caputo e Davide Imbrogno continueranno ad Altomonte, qui avranno l’aiuto di maestranze calabresi. Nel cast, insieme a Paolo Mauro, si aggiungeranno altri nomi della scena artistica calabrese, tra i quali l’attore Giovanni Turco, la partecipazione straordinaria di Dario Brunori (questa volta in veste di attore, con un ruolo molto sui generis e non ancora svelato). Il cortometraggio narra la storia di un pubblicitario italo-americano in crisi esistenziale, pronto a scappare via e rifugiarsi in Calabria per ritrovare se stesso, ci riuscirà? Si metterà in risalto la differenza tra i due mondi, sottolineando e confrontando diversi stati d’animo del protagonista. Una riflessione sull’esistenza e sulle sue sfumature. Una riflessione su diversi aspetti dell’animo umano, il personaggio interpretato da Paolo Mauro, sembra essere catapultato in una sorta di linea d’ombra, in una convivenza con un malessere che spesso cerca di non affrontare, cercando di allontanare se stesso dagli altri.  L’idea del corto non è solo quella di raccontare una storia e fare cinema, ma è anche un’idea di promozione del territorio, un connubio tra comunicazione e cinema, quello che gli americani definirebbero un advert-drama. La famiglia Barbieri fin dal principio non ha mai dimostrato dubbi sulla scelta di finanziare il progetto. Imbattendosi in questa nuova strada di produttori, con l’intendo di promuovere ciò che più hanno a cuore, il territorio. Marco Caputo e Davide Imbrogno sono un connubio che funziona molto bene, i loro video sono al cinquanta percento, lavorano insieme nel rispetto dell’altro. Sono moli i progetti realizzati insieme, e questo sembra essere un progetto faticoso, che stanno portando avanti con impegno e dedizione. Le persone coinvolte nel progetto hanno tutte creduto nel lavoro dei due giovani artisti, dal cast tecnico a quello artistico. Tra le persone che hanno dato fiducia ai ragazzi, vi è anche Hugo Race – musicista australiano, ex membro del gruppo di Nick Cave – che ha gentilmente concesso i diritti per l’utilizzo di un suo brano. L’uscita del corto è prevista a giugno, ancora non è fissata una data precisa.

d_i1

Makes you wanna stop and read a book

Come non ascolto dischi di musicisti italiani, così non leggo libri di scrittori italiani. Il poco che ho sfogliato (vabbè, ovvio, non parlo di Dante Alighieri o Alessandro Manzoni o Giacomo Leopardi, parlo di scrittori contemporanei e viventi) mi ha annoiato a morte. E quando leggo qualcosa, così come quando ascolto qualcosa per il mio piacere e non per meri motivi di lavoro vado a recuperare dischi di decenni fa, leggo libri di autori stranieri scritti decenni fa. Adesso, ad esempio, mi sto intrippando nell’opera omnia dell’inglese Graham Greene, autore che avevo sempre snobbato.

Qualche autore anglo-americano recente mi è piaciuto: Douglas Coupland, ovviamente; Jay McInerney pure. E Nick Hornby.
Mi piacciono perché hanno saputo trasferire nel loro modo di scrivere l’attitudine rock, essendo di una generazione – come la mia – cresciuta a nutella e rock’n’roll. Come le migliori canzoni rock, i loro libri non offrono filosofie, risposte, manifesti politici. Raccontano la realtà, e tanto basta. E poi hanno uno stile narrativo splendido, anch’esso mutuato dalle migliori canzoni rock.
Così qualche settimana fa ho fatto un’eccezione. Un ragazzo (italiano) mi ha mandato il suo libro, l’ho svogliatamente cominciato a leggere, poi l’ho divorato. Davide Imbrogno è sicuramente uno scrittore rock. È giovane, dovrà migliorare certi aspetti, curare meglio la forma, ma va bene così. La sua raccolta di racconti “La gloria dell’indigente” (Ibiskos Editrice Risolo; http://www.ibiskoseditricerisolo.it/catalogo_scheda.php?id=431) è bella assai. Naturalmente il mio preferito è “Materiali di età neroniana”, dove si parla di un critico musicale la cui carriera viene stroncata quando scrive una recensione di un concerto che in realtà non ha visto perché ha preferito andare con una ragazza. Il concerto viene annullato a sua insaputa, ma il suo articolo in cui si narrano le magnifiche gesta del gruppo rock verrà pubblicato. Oh, ne conosco di gente così, nel mio mestiere.
Davide è un romantico, per questo mi piace ancor di più. Ha un buon senso dell’ironia, la giusta dose di cinismo e non è qui per fare delle morali a nessuno. Racconta storie (realiste) di gente vista dentro a un pub o in una sala concerti o immaginata leggendo un articolo di giornale. E chiunque scriva una frase come questa: “Le menti varcarono la linea d’ombra. E quando i pensieri divennero immagine, la bellezza divenne dolore”, è un tipo in gamba.

Buon viaggio Davide.
(Paolo Vites sul blog “The red river Shore” – 8 Luglio 2009)

d_i

“La gloria dell’indigente” è la raccolta di racconti di Davide Imbrogno.

A ventun anni, Imbrogno si guarda attorno con occhi arguti e disincantati, pronti a cogliere ogni sfumatura del mondo circostante, che descrive come un universo viziato e perverso, dove ogni singolo individuo può trovare forza solo in se stesso.
I suoi personaggi hanno un comune denominatore: sono figure disadattate, deluse, incerte che attendono il momento giusto per prendersi la rivincita sulla vita. A volte ci riescono, altre volte no.
Sono personaggi dal background difficile e tormentato, che si muovono in scenari metropolitani asettici e rudi.
Una scrittura forte e decisa caratterizza tutti i racconti, rendendo la lettura piacevole e coinvolgente.
(Annalisa Stamegna , pubblicata su www.aphorism.it – 27 Giugno 2012)

d_i

Crotone: Marco Caputo e Davide Imbrogno per il video “A gorna” degli Hantura

Marco Caputo e Davide Imbrogno sono due giovani artisti calabresi del video. Ultimamente hanno realizzato un bel cortometraggio intitolato “Il rappresentante” che ha come tema il disagio socio-economico del territorio in cui vivono.
Lavorano spesso con lo stesso team che è composto da bravi professionisti e utilizzano attori di spessore come Dante De rose e Giovanni Turco. Proprio con Giovanni Turco hanno girato il loro video per gli Hantura, che si intitola “A gorna” e che è un viaggio a metà tra lo spirituale il reale, il filosofico e il visionario.
Gli Hantura sono un gruppo di musica popolare crotonese, e  questo brano “A gorna” è tratto dal loro ultimo lavoro discografico “Taranterra”.
Quello che Marco Caputo e Davide Imbrogno raccontano con le immagini è un viaggio fantastico in una Calabria che ha il sapore del cinema di Terry Gilliam in missione per conto di Cervantes. Un viaggio picaresco a dorso di mulo, che attraverso la fenomenologia dello spostamento narra una terra, le sue ossessioni, e le sue ambizioni. Terra di mito, di storia e di povertà, la Calabria si erge a scenario epico fino ad assurgere a ruolo di Nùs, seguendo la lezione di Parmenide.
E’ un videoclip filosofico e ambizioso, fatto di immagini suggestive e bellezze mozzafiato raccontato attraverso le figure di un bardo che si mette in cammino accompagnato dal suo bastone e da una lanterna, (omaggio al filosofo presocratico Diogene), e una giovane “magara”, anche lei in viaggio alla ricerca di se stessa, la quale inizia il suo cammino all’alba sul mar ionio (Capo Colonna), fino a terminare il suo percorso sull’altra costa, al tramonto.
Entrambi i protagonisti, viaggiando parallelamente l’uno con l’altro, incontrano durante il proprio cammino altri personaggi, che rendono il video ricco di suggestioni e di metafore. “A gorna” è un videoclip che cerca attraverso le suggestioni impresse dalle immagini tenta di svelare una visione, un’idea di umanità disperata e “sconfitta” ma vitale, in movimento, come del resto la nostra terra e il nostro materiale umano ha sempre espresso nel tempo. Qualcuno ha detto che nel codice genetico del calabrese c’è la valigia, il viaggio, lo spostamento. Imbrogno e Caputo assieme agli Hantura ci raccontano una calabria metaforica che reclama giustizia e che sanguina passione carnale e spiritualità.
Il video è stato girato interamente in Calabria, tra Crotone, il fiume Neto, le grotte Basiliane di San Demetrio, Cetraro e San Benedetto Ullano (Cosenza), e vede la presenza, tra gli altri, di Giovanni Turco (“La nostra vita” di Daniele Luchetti) uno dei più bravi attori calabresi di teatro, oltre che alla presenza di tutti i componenti del gruppo “Hantura”.
Il videoclip sarà presentato oggi, Mercoledì 27 giugno alle ore 19.30 nella Biblioteca Comunale alla presenza delle istituzioni locali e provinciali.

(Calabria Online – 27 Giugno 2012 – http://www.calabriaonline.com/articoli/crotone-marco-caputo-e-davide-imbrogno-per-il-video-a-gorna-degli-hantura_16142.htm )

d_i

Il rappresentante: la storia di un commerciante, vittima dell’estorsione.

“Il rappresentante”…un’idea raccontata con impegno, regalata in venti minuti pieni di forza e verità.

E’ la storia di un padre di famiglia che prova a “sperare” che ci possa essere un domani diverso, che prova ad investire sulla cultura, spronando il figlio maggiore a studiare. Quella cultura… che diventa conflitto generazionale, che ha pesi differenti, nelle differenti concezioni di padre e figlio
E’ la storia di un commerciante, che non sa come arginare quel problema grosso come una montagna, che si ripercuote sul suo quotidiano, negando una serenità familiare che prova a sopravvivere solo nel “piccolo” di casa, che tira due calci ad un pallone, nella spensieratezza che vive ahimè, solo fuori da quella casa dove i silenzi sono rotti da liti ormai inevitabi
E’ una storia cruda, che reca in se anche l’importanza dei rapporti, che dietro liti furibonde. celano in realtà un grande amore.
E’ la storia di un uomo “strozzato” da un sistema… e non solo dagli “strozzini”.
E’ una storia con un finale drammatico, molto più che reale, calato perfettamente in un momento storico altrettando drammatico.
l’immagine è quella di un omicidio…ma l’assassino ha il volto stesso del protagonista, che è al contempo vittima e carnefice.
E’ un suicidio.
Un suicidio annunciato, specchio di una “morte sociale annunciata”, dramma di una realtà che non trova soluzione, che necessita di una reazione forte, comune, determinata, per non divenire un susseguirsi di arrendevoli gesti “senza ritorno”.
Il cortometraggio, sottotitolato in italiano, ma consegnato al pubblico in dialetto cosentino, è stato girato tra le strade di Cosenza e provincia. Cosenza, cittadina architettonicamente gradevole, con un centro storico degno di nota, che ha accolto un lavoro, che io ho percepito come una fluida parabola, imbastita con un filo di poesia che ha attraversato le immagini, nitidissime nei colori, realizzate attraverso un occhio puntato su una realtà locale, rigorosamente in “bianco e nero”, dove i colori vengono spenti dalla bruttura dei crimini che soggiogano e reprimono.
Bella la fotografia, bellissimi i dettagli catturati da una macchina da presa che ha usato spesso panoramiche significative e circostanziali. Nessun minuto del cortometraggio è stato lasciato al caso.
Ogni minuto girato ha avuto il suo peso nella descrizione del contenuto.
Notevole  Renato Costabile nei panni di un cieco, che riconosce i passanti dai loro “passi”, che a dir suo parlano al loro posto. Passi che raccontano di desideri, di speranze o di viltà.
Un’armonica a bocca, suonata dallo stesso attore, che sottolinea il silenzio di un posto nel quale l’omertà e la crudezza della realtà fanno un gran baccano, da coprire con una musica che reca in se una speranza da coltivare, malgrado tutto.
Bravissimo il protagonista, interpretato da Giovanni Turco, uno dei volti più rappresentativi del teatro calabrese, che veste i panni di un uomo che vorrebbe scrivere ancora una poesia, lontana per una volta dalla realtà cruda che lo attanaglia.
Eccellente Dante De Rose, nei panni del “rappresentante”, sfacciato strozzino, dall’inconfondibile passo di chi sa di aver vinto a tavolino.
E non in ultimo Davide Imbrogno, che ha tenuto per se il ruolo di Giovanni, quel figlio scoraggiato, disilluso, disperato, annientato da un futuro senza spiragli, ma che calca il passo di chi spera e vuole camminare “altrove”.
Plauso anche al giovanissimo Marco De Rose, fresco nel ruolo del più piccolo, in quella famiglia dove non c’è spazio per la sua spensieratezza e neanche per la sua bicicletta.
Ottimo a mio avviso, il lavoro svolto da Davide e da Marco, interessante nello scambio calibrato tra realismo e ambizioni, in quella terra dove il sangue è ancora l’immagine di una realtà difficile da redimere.
Loro, giovani talenti, hanno osato, riuscendo, proprio in un periodo che sembra essere “fertile e propenso” alla cultura cinematografica e artistica.
Davide Imbrogno, giovane e promettente attore, scrittore e appassionato di cinema e teatro, spregiudicato nel mettere nero su bianco un cortometraggio scritto con coraggio e slancio.
Emozionato si prende gli applausi compatti e sinceri ed anche qualche critica, che incassa a testa alta, così come si confà a chi sa come si naviga in quel mondo nel quale i dibattiti e la critica sono “linfa vitale” per chi vuole fare questo mestiere e dove il feed-back, fresco ed immediato, pone l’accento su ciò che resta nella fase “calda” di un progetto. In sala – gremitissima – ci sono anche gli addetti ai lavori.
Ci sono amici, gli appassionati, professori universitari che insegnano l’arte della regia e ci sono loro, i protagonisti, che siedono nel pubblico e attendono emozionati che le luci si spengano.
Venti minuti e una manciata di secondi, per raccontare lo spaccato di una realtà che veste le linee gentili di “frame” scattati ad arte, nei quali si adagia un messaggio credibile, sintetico e toccante, lanciato da un giovane sensibile e capace di “cogliere e fermare” l’attenzione su quello che accade ogni giorno sotto gli occhi di tutti, che sconvolge le vite di chi ne è vittima e che diventa una morsa troppo stretta dalla quale fuggire.
(articolo di Simona Stammelluti)

d_i

Cortometraggio “Il Rappresentante” in anteprima al Teatro Gambaro di San Fili

San Fili (Cs) – Martedi 15 maggio 2012 ore 19.30 presse il Teatro Gambaro di San Fili, Anteprima del cortometraggio “Il Rappresentante”. Alla proiezione saranno presenti il regista Marco Caputo, l’Autore Davide Imbrogno, gli attori Dante de Rose, Giovanni Turco e Marcello Walter Bruno, Docente DAMS UNICAL).
Lo spaccato di una famiglia, divisa tra poesia e brutale realismo, nella Calabria contemporanea.
Calabria, oggi. Giovanni è un giovane studente universitario, orgoglioso e realista. Franco, il padre, è un piccolo commerciante, con velleità artistiche, che gestisce un negozio di generi alimentari in difficoltà economiche. Una famiglia come tante, la cui monotonia viene spezzata dall’irrompere di uno strano personaggio, un rappresentante piuttosto atipico. Da quel momento la loro vita non sarà più la stessa.
Marco Caputo il regista, e Davide Imbrogno sceneggiatore e attore, producono questo ambizioso lavoro impregnato tra le suggestioni di Matteo Garrone, Paolo Sorrentino e il cinema italiano dell’impegno civile. L’ambizioso progetto tocca un tema caldo per il sud Italia, di cui entrambi i giovani artisti sentono l’esigenza di parlare. Li affiancano in questo primo cortometraggio attori di spessore come Dante De rose, che interpreta il rappresentante del titolo, Giovanni Turco, uno dei volti più rappresentativi del teatro calabrese, Marisa Casciaro, Renato Costabile, Nausica Sganga e il giovane Marco De rose.
La lavorazione del Rappresentante, è durata circa 3 settimane ed è interamente girato nella provincia di Cosenza. Un tentativo indipendente di fare cinema in un territorio che negli ultimi tempi sembra essere particolarmente fertile e ricettivo.
Interessante è il connubio tra il realismo della strada e dei mestieri e le ambizioni e le speranze di personaggio in bilico tra la poesia e la rabbia, tra la rassegnazione e il sogno di una vita diversa. I graffi della macchina da presa sono dolorose ferite di un territorio che gronda sangue, passione e disperazione nell’attesa di una infinita redenzione capace di liberarci tutti, giusti e sbagliati, buoni e cattivi.

(articolo apparso su “Il gazzettino della Calabria) 14-05-12)

d_i

Moda Movie 2012: il cinema e la città “rappresentati” da Caputo e Imbrogno

Confronto, crescita professionale e visibilità. Un trinomio, questo, che dal 1997 rappresenta l’obiettivo principale di Moda Movie, il progetto nato dall’idea di celebrare e approfondire la relazione tra il mondo della moda e delle arti, con particolare riferimento all’arte cinematografica.
Creato da Sante Orrico con l’Associazione culturale Creazione e Immagine, Moda Movie è giunto quest’anno alla XVI edizione e ha scelto di puntare l’attenzione sull’urban lifestyle, ossia il rapporto tra la moda e la città. Una città intesa come palcoscenico sul quale sfila l’alta moda e, soprattutto, come groviglio di strade all’interno delle quali nasce e si sviluppa lo “stile di vita urbano”.
Quest’anno, infatti, è stato chiesto ai registi partecipanti di raccontare la città in tutte le sue forme: spazio e luogo, corpi e comportamenti che la abitano, architettura e stili urbani che la caratterizzano influenzando i meccanismi di interazione e identificazione tra corpo e ambiente. Senza dubbio, il cinema trova nella metropoli uno dei paesaggi più frequentati e nelle sottoculture urbane l’ispirazione per il lavoro di molti registi che hanno saputo restituire sul grande schermo non solo diversi stili urbani ma anche momenti di vita quotidiana.
Ed è proprio nel cortometraggio “Il Rappresentante”, vincitore della sezione video di Moda Movie 2012, che Marco Caputo ha voluto esplicare, con le immagini e la fotografia, l’urban lifestyle della sua città, Cosenza. Attraverso la macchina da presa, il giovane regista ha raccontanto lo spaccato di una famiglia, divisa tra poesia e brutale realismo, nella Calabria contemporanea. Marco Caputo e Davide Imbrogno (in foto), sceneggiatore e attore, hanno prodotto questo ambizioso lavoro impregnato tra le suggestioni di Matteo Garrone, Paolo Sorrentino e il cinema italiano dell’impegno civile. Un progetto che ha toccato un tema caldo per il sud Italia, di cui entrambi i giovani artisti sentono l’esigenza di parlare.
Pochi minuti dopo la premiazione, mentre all’interno dell’Andromeda River i Camera 237 presentavano in anteprima il video City sounds, abbiamo scambiato due chiacchiere con l’attore Davide Imbrogno.
Come nasce la collaborazione tra te e il regista Marco Caputo?
Per prima cosa voglio salutare Marco Caputo, che stasera non è qui perché si trova all’estero. E come ho già detto prima, durante la premiazione, voglio ringraziarlo per avermi proposto di scrivere queste cortometraggio, e quindi per la fiducia concessa. Marco è un professionista di grandissimo talento, e lavoraci insieme è davvero interessante e costruttivo. Ci siamo conosciuti su un set di uno spot pubblicitario ed è nata una bella amicizia e un bel rapporto di lavoro. A Dicembre dell’anno scorso mi propose questa idea del corto, così ho elaborato il soggetto e scritto la sceneggiatura. Con molte difficoltà, non avendo nessun finanziamento, ci siamo buttati nella pre-produzione del corto, e subito dopo, nella realizzazione. Entrambi abbiamo creduto molto nel progetto. È stata una sfida, fortunatamente siamo riusciti a finire il lavoro, e presentarlo al pubblico.
Sono molti gli argomenti tratti nel corto, e soprattutto sembra che ci siano diverse chiavi di lettura, è così?
Assolutamente sì! Abbiamo cercato di mettere in luce non solo l’afflizione, il disagio, la disperazione dovuta da una condizione sociale non agiata, ma anche la condizione di solitudine e d’incomprensione dell’uomo. Il malessere del protagonista tenuto dentro per tanti anni, l’impossibilità di poter uscire dalla sofferenza. Il rapporto conflittuale tra padre e figlio, che altro non è che l’incapacità di trasmettersi amore. Un amore che i due personaggi avvertono, ma non riescono a comunicare, e che sfoga in rabbia proprio per questa condizione d’incomunicabilità. E poi, il rapporto vittima e carnefice, che affrontiamo nell’ultima sequenza.
I personaggi del cortometraggio sono tutti molto interessanti. Che lavoro avete fatto con gli attori?
Con ognuno di loro abbiamo parlato e discusso, abbiamo letto insieme la sceneggiatura, e ogni attore ha contribuito a caratterizzare il proprio personaggio. Abbiamo avuto il piacere di lavorare con professionisti come Giovanni Turco, Dante de Rose, Renato Costabile, Marisa Casciaro, e il giovanissimo Marco de Rose, un bambino di straordinaria bravura.
Dopo la vittoria di Moda Movie avete altri progetti in mente, visto questa bella miscela tra sceneggiatore e regista?
Stiamo già lavorando su altri progetti, in particolare dei videoclip di alcune band calabresi. Prossimamente usciranno i videoclip dei “Zona Briganti” e degli “Hantura”. I progetti sono tanti, ci impegneremo per renderli nel migliore dei modi.
Sui gradini del podio anche il video “Andromache” dell’irlandese Samuel Mac Fadden e il videoclip “Reato di emozione” di Kiave realizzato da Ginevra Berti e Luciano Cimino, classificatisi rispettivamente al secondo e terzo posto. Questa serata, l’ultimo appuntamento di  Moda Movie 2012 con la finale del concorso giovani fashion designer.

(Articolo di Maria Antonietta Vadalà apparso su Calabriaonline 29 Maggio 2012)

d_i

( Il video ufficiale di Zona Briganti  “Di rabbia e d’amore” su RAI 1, 

nella trasmissione DoReCiakGulp a cura di Vincenzo Mollica )

/